Questo progetto nasce dalla scommessa che tutta l’Italia sia percorribile a piedi, senza macchina, senza nemmeno prendere un treno o un bus. L’idea è che ognuno di noi può condividere i percorsi a piedi che conosce. Una mappatura del nostro territorio, tale da farci esclamare: “Ammappa l’Italia!“.
Abbazia di Farfa Toffia
- Regione: Lazio
- Durata: 3 ore e 30 minuti
- Difficoltà: escursionistico
- Natura: 75%
- Percorribilità: piedi
- scarica il gpx del percorso
- Versione stampabile
Abbazia di Farfa – Toffia, passando per il Monte Acuziano e l’Abbazia incompiuta di San Martino Si parte dall’Abbazia di Farfa, dove è possibile lasciare la propria automobile con facilità nell’ampio parcheggio della struttura. Dopo aver visitato la splendida Chiesa e il complesso dell’Abbazia, ci manteniamo sulla parte alta delle costruzioni, imboccando una breve strada in salita che ci conduce sulla Strada Vicinale Vicarella. Attraversiamo e prendiamo avanti a noi il sentiero sassoso che sale nel bosco. Dopo circa un…
Altro da sapere
La bacheca del percorso
Rivolto infinito di un’anima spezzata
[Senso di scissione della personalità: si verifica o può verificarsi in seguito ad eventi estremamente traumatici che possono causare un senso di “divisione della persona”. Come nel caso del disturbo dissociativo di personalità o personalità multipla, la persona colpita non è più padrona di sé stessa, di conseguenza non è in grado di ricordarsi cose importanti che la riguardano né cose di una certa rilevanza che ha effettivamente compiuto lui in prima persona.]
Il monte Acuziano un tempo era una foresta magica dove brillavano i fiori nel verde infinito dell’erba, le rocce si raccoglievano e si affilavano con una grande arte, le montagne abbracciavano il sole, il cielo bruciava gli alberi con il suo calore, gli animali vivevano in armonia all’ombra dei molti alberi. Riposava giorno e notte Martino in questa foresta magica dove viveva ormai da molti anni e godeva della sua comunione con la natura e la pace che con essa aveva ritrovato. Egli infatti in passato era stato emarginato per dei crimini commessi e diventò un solitario, passava la maggior parte del tempo con gli animali del bosco. La pena da scontare per continuare a vivere nel suo paese sarebbe stata lavorare senza retribuzione presso dei campi ma il suo ripudio verso il popolo che lo aveva condannato lo portò a non voler in alcun modo scontare questa pena e scelse l’esilio.
Una mattina come le altre Martino iniziò la sua passeggiata e quando salì in cima al monte dentro l’abazia mai completata trovò la sua famiglia impiccata. Era troppo. Dover guardare quelle scene. Di colpo si rese conto come le persone che vedeva giacere inermi e privi di vita, di fronte a lui con il corpo a mezz’aria ed il collo inesorabilmente legato ad un cappio, fossero le stesse che gli avevano dato una vita, gli avevano dato protezione e lo avevano educato. Mai il pensiero di perderle non gli era passato per la mente. Era come se le loro esistenze fossero legate in qualche modo, e non riusciva a concepire di doversene separare. D’un tratto sentì il fiato mancargli. Non riusciva a mettere a fuoco. La realtà cominciava a perdere consistenza e tutto a poco a poco lasciava spazio ad una matrice nera, fitta, intensa, come la morte. Non era più lui, qualcosa, una parte di sé che aveva considerato sua, data per scontata, che era sempre stata lì nell’addome inferiore, attraverso tutto il busto, in profondità, per la prima volta scomparve lasciando spazio ad un vuoto, ad un lancinante dolore, fisico, mentale. Non era più lui, le lacrime sgorgavano a fiumi sul suo volto, come l’acqua che scorre da un fiume una volta rimosso il macigno che lo ostruiva. Poco a poco la sua fisionomia incominciò a mutare, così come i suoi pensieri. Martino si lasciò andare al dolore più disperato. Un dolore talmente grande che lo alienò completamente. Dopo alcuni giorni di disperazione si lasciò ancora più andare. Smise di mangiare, di lavarsi e di occuparsi di sé stesso. Nutrì pian piano la convinzione di venire da un altro mondo tanto era stato il dolore che dovette sopportare. Una parte di Martino era morta insieme ai suoi su quel monte, quel giorno era nato Marzio.
Marzio, lo chiamavano il demone, aveva appiccato l’incendio, un solo uomo aveva fatto più danni di cento persone. Martino aveva spento le fiamme, curato i feriti, soccorso e riparato quanto possibile. Si era svegliato all’alba quella mattina dopo poche ore di sonno perché c’era un paese oltre il bosco che ancora non era stato toccato dal demone, doveva raggiungerlo prima di Marzio e fermarlo una volta per tutte. Si legò la spada in vita, prese il cavallo e si avviò verso il paese. La foresta era densa, la luce ancora fioca filtrava dalle fronde e faceva inquietanti giochi d’ombra, era l’alba ma nella foresta non si vedeva il sole. Cavalcava da mezz’ora e il sonno cominciava a farsi sentire, ma poi una figura nella foresta tagliò il suo torpore, si era mossa tra le fronde, Martino l’aveva vista, l’aveva sentita, il cavallo si era fermato. “Ciao, Martino…” emanò dalle ombre una voce acuta e sinistra, Martino si girò ma non vide nulla. “non sapevo volessi incontrarmi Martino, pensavo facessi di tutto per evitarmi”. La voce sembrava più vicina questa volta, Martino scese da cavallo e sfoderò la spada, sentiva che Marzio si stava avvicinando “ora dimmi Martino, dov’eri quando è scoppiato l’incendio?” Fu così che Martino rivide la scena nella sua mente, i ricordi resi vividi dalla paura: si era svegliato da un incubo mentre camminava sonnambulo per strada circondato dalle fiamme. “tu pensi che io sia il tuo nemico, ma io sono la tua ombra” La vista di Martino si oscurò, era come se fosse posseduto, combatteva con sé stesso ma il demone era forte quanto lui. Martino continuava a lottare esausto e tormentato, poi nella disperazione prese il pugnale e se lo conficcò nel cuore. I paesani trovarono il corpo la mattina dopo, la salma emanava una strana serenità nonostante l’espressione fosse contorta e demoniaca, non capivano chi fosse. Riconobbero però la spada di Martino e il suo pugnale. Lo cercarono per dieci giorni, invano, poi eressero una statua in suo onore: Martino santo e salvatore della provincia.
Marzio e Martino osservarono l’uno accanto all’altro gli eventi che li videro protagonisti, parlavano tra loro, dentro di loro, le voci si confondevano nei pensieri: “com’è stato possibile che abbiano ucciso la mia famiglia? perché questo mondo dovrebbe meritare la vita, l’esistenza in questo pianeta fatto di odio e violenza”. Ma tutto d’un tratto sentì una voce nuova “ogni cosa ha un equilibrio nessuna cosa è perfetta non si può pretendere che tutto giri in tuo favore altrimenti non si potrebbe chiamare vita… Ormai non posso cambiare le cose… È un dolore che porterò con me, devo imparare a conviverci. Cammino e camminerò per alleviare la ferita e andare avanti per la mia strada. Maledetta la vita che mi ha tolto le persone a me care, ma non perderò la speranza, troverò la mia serenità e il mio equilibrio. La mia storia mi ha portato ad essere chi sono oggi ma il mio futuro è ancora da costruire”.
I Sentieri dei Sogni – Digital Story Telling
Commenta con Wordpress