La discesa da Castellaneta offre un bellissimo panorama che arriva fino al mare; prima di lasciare definitivamente il paese ci imbattiamo nella “famosa” statua blu di Rodolfo Valentino, un regalo dell’attore al suo paese natale.
Appena fuori da Castellaneta, fin da subito ci imbattiamo in una Statale 7 la cui complanare è sbarrata dopo soli 200 m. Nel definire questa tappa ci eravamo un po’ allontanati dal tracciato indicato da Rumiz perché ci sembrava molto incerto sugli attraversamenti dei campi di ulivi, vigne, scavalcamenti vari di muretti e fossi, ecc.; per cui ci eravamo affidati ai percorsi già fatti in bicicletta da altri… e male abbiamo fatto!
La statale è veramente impraticabile, troppo pericolosa e molto lontana dallo spirito del nostro viaggio, in cui la bicicletta è un mezzo e non un fine.
Per fortuna incontriamo una persona gentile che ci dedica parecchio tempo descrivendoci strade alternative (e asfaltate) in mezzo alla campagna fino a Palagiano; addirittura ci scorta con la macchina fino al bivio, per essere certo che non sbagliamo strada. E così riprendiamo tra i campi.
I profumi inconfondibili della campagna pugliese avevano cominciato a farsi sentire già da un po’ ed ora sono fortissimi, un misto di camomilla e spezie per tutti i gusti, immersi tra i campi di ulivi e agrumeti, con alberi di fico carichi di fioroni ancora acerbi e gli immancabili fichi d’india a ridosso dei muretti a secco. Quando ci si ferma si trova anche la rucola, che da queste parti ha un sapore fortissimo, quasi piccante.
Passata Palagiano riusciamo a stare tra i campi ancora per un po’, ma in prossimità di Taranto ci rassegniamo alla Statale ed entriamo in città passando attraverso l’Ilva. Tutto è rosso, ciminiere, macchinari, aree collegate da cavalcavia e strade malandate, rifiuti e prostituzione.
Già nel vedere questo posto da google map avevo avuto la sensazione di un toner scoppiato per sbaglio su di una fotografia aerea.
Nonostante tutto, forse complice la primavera, anche in questo luogo la natura si è presa i suoi spazi e la vegetazione cresce rigogliosa ovunque; solo il profumo della campagna è assente, ma del resto non è presente neppure a Roma…
Prima di chiuderci nel museo, però, uno sguardo al centro storico e, soprattutto, al mare! Il secondo che tocchiamo.
Il Museo Archeologico di Taranto è decisamente all’altezza delle aspettative che avevamo, così ci rimaniamo dentro per circa tre ore… ci siamo presi tutto il tempo che volevamo. La bellezza e la raffinatezza dei gioielli è impagabile: meravigliosi, estremamente variegati e fantasiosi, oltre che realizzati con una qualità incredibile!
Riprendiamo la strada per San Giorgio Jonico nel tardo pomeriggio e, senza starci troppo a pensare su, ci ritroviamo su di una statale trafficatissima e con velocità da autostrada, completamente priva sia di complanari che di una semplice banchina. Dopo alcuni chilometri ci fermiamo per capire cosa stiamo facendo.Ci rendiamo conto non solo che l’Appia è un lontano ricordo, ma anche lo spirito del nostro viaggio!
Il tratto appena percorso è stato completamente alienante, saremmo potuti essere ovunque. Il rumore delle automobili ci ha stordito, il vento e lo spostamento d’aria al passaggio dei mezzi ci hanno imposto una concentrazione esagerata sulla bicicletta, che non ci ha permesso di avere attenzione per altro che non fosse il non farsi mettere sotto e l’arrivare il prima possibile.
L’aver modificato questa parte del viaggio in base all’esperienza di chi lo aveva già percorso in bicicletta e consigliava questo tracciato, anziché studiare in maniera più approfondita la fattibilità dei tracciati di Rumiz (pur coi dovuti e necessari adattamenti come fatto fino ad oggi), ci ha fatto perdere di vista il nostro fine. Proviamo a recuperare, ma ormai siamo troppo vicini alla conclusione della tappa e non ci è facile ricollegarci al suo percorso.
Decidiamo quindi di tirare fino a San Giorgio Jonico, peccato, più tardi Alessandro, che ci ospita per la notte in casa sua, ci spiegherà che nei lavori per la tangenziale di Taranto sono emerse tracce di un basolato romano,non è detto che sia necessariamente l’Appia, o forse sì; in ogni caso non siamo passati di lì e ce la siamo persa.
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