La Rocca e gli asini di Cavour…
Mappato da Adriano (Compagnia dell’Anello)
Chi non conosce il detto “Ij aso ‘d Cavor a’s laodo da lor” (gli asini di Cavour si lodano da soli)!? Ma forse non tutti sanno che in origine tale motto non era riferito alle persone che si auto elogiano, bensì alla giusta fama degli asini di razza ‘cavourese’ (purtroppo ormai estinta) che, nei tempi ante macchine e motori, venivano richiesti e apprezzati nei mercati locali e d’oltralpe per la loro ottima qualità e resistenza.
Questo per introdurre simpaticamente la descrizione del giro che la Compagnia dell’Anello ha finalmente deciso di andare a fare sulla mitica Rocca di Cavour, montagna in miniatura vista tante volte, dalle cime affacciate sulla pianura saluzzese e torinese, emergere dal nulla isolata nella bruma della piana circostante. Ciò ci ha permesso di capire un po’ di più della storia travagliata e coraggiosa di questa antichissima località.
La Rocca di Cavour (462 m.) si trova tra il monte Bracco e l’imbocco della Valle Pellice, si eleva di 162 metri dal piano che la circonda e geologicamente è considerata un “monadnock” cioè la vetta di una montagna alpina completamente circondata dai sedimenti alluvionali portati dai fiumi Po e Pellice, la cui formazione viene fatta risalire al periodo del “Quaternario” (300 milioni di anni fa). Costituisce un’importante isola di biodiversità, di settantacinque ettari appena, ma di grande interesse ambientale. Inoltre, unica zona boscata nel raggio di una decina di chilometri, rappresenta un’oasi e un approdo ideali per l’avifauna. Tutti questi aspetti ne hanno giustificato la protezione e l’istituzione del Parco Naturale della Rocca e di un SIC (Sito di Interesse Comunitario) quale località di rilevante interesse ambientale riferito alla regione biogeografica mediterranea.
Ma veniamo alla nostra escursione… Confidando nelle previsioni meteo che riportavano tempo freddo, ma con poche nuvole ci avviamo in auto da Cuneo, ma già dal saluzzese incappiamo in una cupa nebbia. Ci diciamo, facendo pieno affidamento sulle previsioni – “più avanti si diraderà!”, ma passati la Crocera di Barge, arrivati a Cavour e parcheggiata l’auto in piazza Solferino, la situazione non cambia…
Poiché la speranza è sempre l’ultima a morire, zaino in spalla, decidiamo di salire sulla Rocca auspicando che più in alto il sole prenda il sopravvento.
Attraversiamo il parco giochi di Piazza Terzo Alpini e seguiamo sulla sinistra via Pollano. Svoltiamo in Via Dazzano giungendo nel piazzale della parrocchiale di San Lorenzo dove ci soffermiamo presso la Fontana Romana, così chiamata poiché costruita nel 1829 nel luogo dove esistevano in epoca romana dei bagni termali e forse un tempio dedicato alla dea Drusilla, testimoniati dal ritrovamento in loco nel 1552 di una lapide della sacerdotessa Attia sorella di Caligola.
L’acqua che sgorga dalla sorgente che alimenta la fontana, avrebbe origini antichissime tanto da dare il primordiale nome Kab-Ur (altura e sorgente) al paese in epoca celto-ligure. Nel periodo Romano Cavour si chiamò Forum Vibii Caburrum assumendo importanza quale Municipium con la presenza di templi, bagni termali, mercato (Forum), luoghi funerari e strade lastricate. Moltissimi reperti a testimonianza dell’epoca sono stati rinvenuti prevalentemente a sud della Rocca e sono custoditi nel museo Caburrum presso l’Abbazia di Santa Maria.
La fontana è posta ai piedi della cosiddetta “Scala Santa”, costituita da 69 gradini che rappresentano l’inizio della salita alla Rocca sul percorso del suo versante settentrionale caratterizzato da castagni, aceri di monte, ciliegi, frassini, tigli e farnie.
In breve giungiamo ad un trivio attorno al quale si sviluppa l’area “Roccart” dove lo scultore Fabio Moriena ha intagliato i tronchi morti dei castagni per creare fiabesche opere lignee. Da qui sulla destra parte il nuovo sentiero (lo seguiremo al ritorno) intitolato a Guido Beltramo, figura di spicco del volontariato cavourese, mentre al centro continua la stradina verso la vetta. Noi imbocchiamo l’ampio sentiero sulla sinistra che porta ad uno slargo dov’era il presidio del castello detto di S. Maurizio. Questo dovrebbe essere il primo di una serie di punti panoramici che il percorso sulla Rocca offre, ma la nebbia insiste ad avvolgerci nel suo mantello (e così sarà per tutto il percorso), quindi rassegnati decidiamo per oggi di tralasciare il panorama e di dedicarci con maggiore attenzione alle peculiarità che troveremo nel cammino.
Continuando sul sentiero, ora con tratti più ripidi, fiancheggiamo quel che resta delle mura medievali, arrivando alla scoscesa Rocca Nera nei pressi di una zona naturalistica protetta per le importanti pitture rupestri.
Ritorniamo ora sulla strada principale e poco più avanti imbocchiamo la deviazione verso il pianoro dove due anni or sono è stata installata la Big Bench 158 rosso-gialla in una postazione assai panoramica (se non c’è nebbia). Qui troviamo una coppia di appassionati ornitologi ‘armati’ di potenti teleobiettivi ‘a caccia’ di immagini dell’avifauna tipica della Rocca: l’averla minore, il nibbio reale e il falco pellegrino… pare con scarso successo, fino a quel momento, a causa della nebbia.
Dopo l’immancabile foto di gruppo sull’enorme panchina, saliamo alla vicina torre Bramafan (pare che il nome derivi dalla leggenda secondo cui il gigante Bram, qui rinchiuso da Giove, quando i morsi della fame lo attanagliavano inveisse e imprecasse per cui gli abitanti del borgo sottostante, atterriti, mormoravano: “Bram à fam”)
Tornati alla strada principale c’incamminiamo sull’ottima strada lastricata verso la vetta arrivando allo scalone terminale che conduce al caratteristico Pilone della Rocca, ben visibile anche dal paese, costruito nel1931, alto 15 metri, che accoglie una statua della Madonna della Medaglia Miracolosa in marmo bianco di Carrara
Sulla vetta delle rocca sorgeva un castello, risalente al XIII secolo, di cui restano solo dei ruderi. Il castello fu distrutto nel 1690 dallo spietato generale francese Nicolas de Catinat che incendiò e rase al suolo Cavour e molti altri paesi della pianura uccidendo senza pietà (donne e bambini compresi) tutti coloro che non riuscirono a fuggire. Qui si può pure meditare sulla ferocia disumana delle guerre davanti alla croce che sovrasta l’ossario dei 600 morti caduti nella vana difesa del castello.
Sul piazzale della cima troviamo pure una tavola della Rosa dei Venti e poco sotto i resti della polveriera del castello distrutta da un fulmine nel 1638.
Ora, costeggiando il ristorante scendiamo sulla sterrata che raggiunge la Grotta “Ca ‘d Pajret” (435m), la quale prende il nome dall’eremita Pajret/Peiret che secondo la tradizione visse nella Grotta tra l’800 e il 900 assieme a capre e pecore guadagnandosi qualche soldo con una giostra auto costruita a funzionamento manuale.
Da qui raggiungiamo ancora lo spiazzo del Mori ‘d Crin (412m), su un precipizio che trae origine dalla morfologia della sua sommità, caratterizzata da una sporgenza rocciosa che, osservata dalla pianura, ricorda il profilo della testa di un maiale.
Non ci resta ora che ritornare al punto di partenza utilizzando l’ottimo sentiero Guido Beltramo che ci permette di chiudere il nostro bell’anello con la promessa di ritornare per ammirare, stavolta con un bel sole, lo spettacolo mozzafiato che questa eccezionale Rocca è in grado di offrire e magari in un fine settimana approfondire la conoscenza della storia di Cavour con la visita al Museo Archeologico Caburrum presso l’Abbazia di Santa Maria.
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