I SENTIERI DEL GRANITO
Tre percorsi tra Bassa Valsesia e Cusio, per affacciarsi sul Lago D’Orta
3°- Da Cellio a Madonna del Sasso per il passo di Cambocciolo
Interessante tappa conclusiva dell’itinerario, che prevede lo scollinamento dalla Valsesia al Cusio, con lo spettacolare arrivo alla rupe della Madonna del Sasso, dalla quale si puo’ godere del grandioso panorama sull’intero lago d’Orta, quasi in verticale sulla giustamente famosa isola di S.Giulio con il paese di Orta San Giulio sullo sfondo.
Il percorso
Basta un rapido colpo d’occhio e, a Cellio, cio’ che non si puo’ far a meno di notare e’ che, a dispetto delle ridotte dimensioni dell’abitato, svetta con indubbia autorita’ il campanile: in effetti e’ uno dei campanili valsesiani di maggiore altezza. Ma la reale prerogativa di questo manufatto consiste soprattutto nel suono delle sue campane, che si puo’ udire praticamente in tutta la valle e incredibilmente anche su “YouTube”. Tutto cio’, naturalmente, non e’ il frutto di una tendenza alla megalomania del curato di Cellio, ma risiede in precise ragioni storiche: fin dal XV secolo nella zona si fabbricavano le campane (ora invece i rubinetti, come si puo’ intuire passando da Valduggia), e questa attivita’ per qualche secolo fu una vera e propria specializzazione.
A ribadire la memoria di questa inusuale vocazione, nella zona non sono rari i riferimenti a S.Agata “patrona dei fonditori di campane”.
Le Campane di Cellio. Documentatissima la loro storia, brevemente riassunta sul sito del Comune, che parte dal 1486, anno nel quale fu fuso il “ciuchin” (campanello), il cui suono ancora oggi risuona per la valle. Il “campanone” del 1597, invece si ruppe e venne sostituito, assieme alla “campana vecchia” ed alla “campana nuova” tra il 1747 ed il 1748. Ci furono poi altre sostituzioni e nel 1920 si fece un ultimo rimpiazzo che tuttavia risparmio’ la piu’ antica: il “ciuchin”.
Bene: calzati ora gli scarponcini non resta che partire alla volta della nostra meta. Un breve tratto su asfalto ci porta a raggiungere la minuscola Baltegora, che con i suoi strettissimi vicoletti pare da sempre immerso in un grande silenzio: solo a tratti si puo’ udire qualche voce giungere dalle poche case ancora abitate. Attraversatola rapidamente, ed individuato l’immancabile segnavia ci si inoltra nel bosco attraversando un gradevole tratto di collegamento con la prossima Cadarafagno. Anche qui piccole case non prive di una certa signorilita’ ed un grande silenzio tra i vicoli. Sicuramente a questo punto avremo gia’ potuto udire il suono delle campane di cui tanto si e’ parlato poco fa.
Si entra ora nel bosco (segnavia!) perdendo gradatamente quota e contornando alcune piccole valli con alcuni saliscendi, mentre il bosco, gradatamente vira a faggeta, regalando begli scorci della vallata. Un’ultima discesa, infine, conduce ad un ponticello per scavalcare il rio Strona (sono pero’ numerosi i corsi d’acqua in zona ad avere questo nome).
Il mulino Rosa. Giungendo al suddetto ponticello risultano ben visibili i ruderi del mulino Rosa: appoggiata ad una parete si puo’ osservare una macina, mentre un occhio attento puo’ identificare altri particolari costruttivi tipici del mulino (tra cui, a monte, la gora di adduzione dell’acqua alla ruota, che a dire il vero non siamo riusciti ad individuare). La presenza di altri mulini a valle, sullo stesso corso d’acqua (il mulino Benvenuto ed il mulino Medana, entrambi decisamente in condizioni migliori), nonche’ del mulino Venuto nei pressi di Cellio, quest’ultimo dotato di stemma sul portale), fanno intuire l’importanza dell’attivita’ molitoria nell’ambito di un’economia di sussistenza, quale si praticava in queste valli. Un’ultima considerazione sulla durezza della vita quotidiana in altri tempi viene spontanea osservando dove erano costruiti i mulini: spesso al fondo di valli anguste e chiuse, dove il soleggiamento era minimo e l’umidita permanente.
Superato il rio si risale sui resti di una vecchia mulattiera, purtroppo fortemente degradata dagli sconsiderati passaggi di moto da trial, fino ad uscire ai margini di Piana dei Monti. Attraversando la frazione (che amministrativamente appartiene alla provincia di Verbania, con non poco disagio per i residenti), si puo’ facilmente notare sia una certa cura costruttiva dei “palazzotti” che si affacciano sulla via, sia il fatto che il paese non dia una sensazione di abbandono come altri borghi che abbiamo attraversato: e’ anzi attivo un piccolo circolo Arci che funge da trattoria e, in altro periodo, ci e’ capitato di incappare anche in una “fagiolata” carnevalesca…
…purtroppo non possiamo cedere a queste tentazioni: ci aspetta ancora parecchia strada…
Individuato il segnavia (il recente aggiornamento della numerazione della segnaletica, unito al fatto che abbiamo cambiato provincia crea qualche dubbio in proposito) ci portiamo dalla piazzetta ad imboccare un evidente stradino in salita, che passando sotto la chiesa, in breve porta in pieno bosco. Ora basta seguire il percorso principale, trascurando alcune diramazioni secondarie, per raggiungere prima la brutta ed enorme cappella del Turlo (che con la sua presenza ci dice che ci troviamo comunque su di una vecchia via di comunicazione tra Bassa Valsesia e Verbano) e poi, sempre mantenendoci sul percorso principale, al passo di Cambocciolo (m 942), punto piu’ elevato dell’intero itinerario, posto nei pressi dell’omonimo alpeggio abbandonato.
Il toponimo “Cambocciolo”.Sulle carte escursionistiche relative al Verbano al Cusio (la zona del lago d’Orta) ed all’Alto Vergante (tra lago d’Orta e lago Maggiore) non e’ infrequente imbattersi in toponimi che inglobano il termine “bocciolo” (a memoria ci sovviene l’alpe Boccioli). Questo gentile termine ci fa immaginare prati in precoce primavera, siepi fiorite, profumi bucolici: nulla di tutto cio’ (o perlomeno nulla di piu’ che in qualsiasi altro luogo della zona). Infatti “bocciolo” e’ una un po’ arbitraria traslazione, ad uso cartografico, del termine dialettale “bosciul”, mutuato dalla vicina Lombardia, il cui significato e’ essenzialmente “rovo”, “spina”…
Si prosegue seguendo sempre lo stesso segnavia (il passo e’ un autentico crocevia: tra piste e sentieri sono ben sei le vie che vi convergono) e si comincia a scendere abbastanza bruscamente. A dispetto della quota modesta in questo tratto non e’ infrequente incontrare abbondante neve residua, quindi se decideste di intraprendere la traversata ad inizio primavera non dimenticate le ghette.
Si prosegue in discesa tra bei faggi e qualche vecchia cascina in rovina, mentre la pista gradualmente si allarga fino a divenire una sterrata percorribile con automezzi. Giunti al bivio a quota 790m si sceglie la via di sinistra ed in breve si perviene all’asfalto in prossimita’ di una grossa cappelletta, che tra l’altro riporta le indicazioni direzionali per Cellio e Varallo (a conferma della supposizione fatta alla cappella de Turlo). Si raggiunge in breve un ampio pianoro prativo al cui termine si stacca a destra la carrozzabile per Boleto e per il Santuario della Madonna del Sasso.
Ma prima di concludere l’itinerario, proseguendo in discesa si puo’ raggiungere Arto’, fino al 1928 sede comunale: una breve perlustrazione dell’ordinato borgo e’ senz’altro raccomandabile anche solo per bere alla fontanella del lavatoio, inserita nel progetto “Itinerari letterari del lago d’Orta e Mottarone” che, tramite le citazioni di luoghi da parte alcuni autori piu’ o meno noti, si propone di creare un filo conduttore per una visita in zona.
“Passarono vicino alle fontane; un bell’arco di acqua viva precipitava gorgogliando nel troglo colmo, riboccando e travasando in cascatelle e stillicidi argentei; in terra un guazzo viscido, che fra gli interstizi dei ciottoli lucenti rispecchiava il cielo.
Gaudenzio volle bere una sorsata, ma quel mestolone di ferro arrugginito gli faceva ripunianza, e preferì il metodo più spiccio. Mise la mano sotto la bocchetta dell’acqua, e vi accostò le labbra; ma nell’incurvarsi, la mano si piegò, e giù nella manica un torrente di acqua gelida.”. Dal romanzo “Alpinisti ciabattoni” del vercellese Achille Giovanni Cagna, edito nel 1888.
Risaliti al bivio si raggiunge in breve Boleto, attuale sede comunale, che merita anch’esso una breve visita, dopodiche’, per via del Santuario si raggiunge la Madonna del Sasso, che dalla sua panoramicissima rupe rocciosa permette di ammirare l’intero lago d’Orta,, con l’sola di S.Giulio in bella evidenza, i paesi sulla riva, il Mottarone e piu’ lontano, i monti del Parco Nazionale della Val Grande, come degna conclusione di questo “I sentieri del granito”.
Anche questo luogo ha radici antiche, che per questa volta lasciamo raccontare al tabellone sul retro della chiesa, da cui ci siamo permessi di riprodurre la cartolina con la vista della rupe per chi fa una visita al Lago d’Orta…ma questa e’ gia’ una nuova storia…
A presto per la seconda tappa (che per varie ragioni verra’ pubblicata per ultima…abbiate pazienza!).
Per consultare il pdf del percorso clicca qui.
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