Il nostro itinerario parte da Contrada Buttino, raggiungibile percorrendo la strada provinciale 13 che collega Ragusa all’antico centro di Kamarina. Al km 3,2 della provinciale si gira a sinistra per contrada Buttino e la Grotta delle Trabacche. Siamo a sud-ovest di Ragusa nel cuore degli altopiani ragusani, piatti tavolati calcarei ove è possibile scrutare un vasto orizzonte disegnato da infinite e pazienti cornici di bianchi muretti a secco. Qui ci sono i pascoli della vacca modicana,una frugale e bruna montagna ruminante il cui latte magnifica le caratteristiche organolettiche dell’autentico oro di queste zone , ovvero il formaggio DOP Ragusano.
Lasciata la macchina nell’ampio parcheggio,raggiungiamo, attraverso un sentiero delimitato da due file di muretti a secco, la singolare grotta delle Trabacche (foto 1). E’ uno dei più importanti ipogei sepolcrali della Sicilia, probabilmente di culto cristiano, e il nome deriva dalla forma dei due monumenti sepolcrali posti al centro della grotta, simili a letti a Baldacchino, una parte dei quali si indicava con il termine ”trabacca”. Al di là della valenza archeologica, è un luogo davvero affascinante, tanto che fu descritta e disegnata anche da un artista come Jean Houel, uno dei più famosi viaggiatori in Sicilia all’epoca del “gran tour”, alla fine del 700. Dopo aver visitato la grotta, ritorniamo sui nostri passi verso il parcheggio e ripercorriamo a piedi e a ritroso la stradina che conduce alla provinciale. Raggiunta, si percorre a sinistra per 100 m circa e quindi si imbocca la prima stradina a sinistra con il fondo in asfalto. Si prosegue in leggera discesa fino a raggiungere un grosso gruppo di case che, in lontananza, conservano ancora l’ aspetto di un antico borgo di campagna, con tanto di casa padronale e di chiesetta annessa. Adesso è una grande e moderna azienda zootecnica, un disomogeneo insieme di case antiche e moderne, di silos e di capannoni adibiti a stalle. La zootecnia, l’allevamento delle vacche è il motore dell’economia ragusana e nel bene e nel male ha determinato la cultura pastorale di questi luoghi e della gente che ci vive e , in qualche modo, anche la forma e la cultura del paesaggio. Qui, l’integrazione tra muretti a secco, vecchie “massarie” e vacche ruminanti al pascolo ha prodotto un paesaggio davvero singolare.
Di fronte all’azienda, si estende, dietro un cancello in ferro e un recinto di muri a secco,un terreno in leggera salita che culmina gradualmente in un poggio dal quale si può godere di una ampia visuale della zona circostante. La vista spazia dal mare in lontananza al castello di Donnafugata, la nostra meta finale, e se guardiamo verso il basso, proprio davanti a noi, vediamo la nostra cava Sughera, il nostro percorso. La possiamo raggiungere in modo diretto attraverso il poggio scavalcando qualche muro a secco e individuando a vista il punto più semplice per scendere giù. Oppure, se il terreno del poggio è stato seminato, e per saperlo basta chiedere al conduttore dell’azienda, è preferibile continuare in avanti per la stradella in asfalto e scegliere la diramazione a destra che, passando davanti ad un’altra azienda, lascia lo spazio ad una mulattiera che scende decisamente nella cava. Giunti nel fondovalle, in una prima macchia di olivastri, carrubi e qualche roverella troviamo subito lei, la nostra Sughera, l’unico vera ragione che dà il nome a questo luogo.
Dovete sapere che le querce da sughero necessitano di terreni acidi o poco alcalinici per poter attecchire e qui, invece, l’altopiano carbonatico ibleo, e la poca terra che lo ricopre, è decisamene alcalinico o basico. Infatti in tutta questa grande porzione di territorio le sughere non ci sono e non sono solo rare direi addirittura uniche! Difatti la nostra lo è, unica, preziosa, solitaria. Chissà per quale combinazione pedologica lei ha scelto questo luogo e la sua unicità ti colpisce e sembra sfidarti. Continuando a camminare, non potrai più fare a meno di cercare tracce di altre sughere in zona, non può esserci solo lei, penserai, invece è proprio così. Questo albero affascinante sembra trasmetterci l’unicità e al contempo la fragilità di questi luoghi.
Da qui in avanti dobbiamo solo seguire a valle la cava e lo si può fare costeggiando il letto (quasi sempre asciutto) del torrente oppure inerpicandosi sul versante opposto a quello da cui si è scesi e individuare al mulattiera che costeggia la cava dall’alto per tutta la sua lunghezza. Entrambe le possibilità contemplano, naturalmente, qualche avventuroso scavallamento di muretti o apertura di passaggi per le vacche, ricordate che ogni cosa è risolvibile a condizione di lasciare tutto come si è trovato. I vari “massari” o fattori della zona vi hanno già individuato da ore e vi osservano attenti anche se voi non li vedete, tollerano senza problemi questo tipo di visite, a patto che non si creino problemi al loro lavoro e alle loro vacche. In un modo o nell’altro giungeremo dinanzi al borgo di Bucampello. Una grande e bella villa padronale, un gran giardino semi abbandonato, l’immancabile chiesetta e l’ennesima azienda zootecnica. Dobbiamo attraversare il borgo, oppure possiamo aggirarlo seguendo per un altro pezzo il letto del torrente. Quando individuiamo la strada d’accesso principale al borgo la seguiamo in salita e ci ritroviamo fuori dalla cava, in una stradella di campagna asfaltata solo per un primo tratto. Percorrendola a sinistra, attraverso una bellissima campagna punteggiata da tantissimi ulivi e carrubi secolari, ci ritroveremo direttamente nel piazzale del castello di Donnafugata (foto 2 e 3), famoso e nobile maniero ottocentesco di campagna. Si ritorna per la stessa via.
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