Freiburg im Breisgau – Strasbourg

ovvero L’oro del Reno

Assomiglio al mio cammino, sono lento, lento di comprendonio. Mi ci sono voluti 2000 km per capire una semplicissima cosa. Quale cosa? Piano con la curiosità, se io sono lento non capisco perché voi vogliate adesso avere fretta…

Eravamo in una ricca parte del sud della Germania chiamata Kaiserstulh. Si trova tra Friburgo e il Reno. Una serie di colline completamente ricoperte di vigne. La giornata era afosa. Nemmeno nel Delta del Po ho visto tanta foschia. Il cielo era basso come un cappello e si camminava a fatica, boccheggiando. Lì le vigne formano un gigantesco labirinto di centinaia di ettari posto su più piani terrazzati, proprio come in un video game, e credo che nessuno tranne noi abbia mai provato la surreale esperienza di attraversarlo nella sua lunghezza, svoltando di 90 gradi quasi ad ogni passo e salendo per decine di volte su terrapieni incolti. In quel labirinto o ci vai col trattore per raccogliere l’uva o perché sei il facoltoso proprietario e vuoi vedere se i tuoi profitti stiano andando bene, ma mai per andare dall’altra parte. Eppure noi eravamo lì solo e soltanto perché il Kaiserstulh si stagliava ingombrante tra noi e la piana del Reno, dunque non rimaneva altro da fare che fermarsi ogni duecento metri e ricontrollare nervosamente la mappa, una cosa che in altre circostanze ha perfino stimolato la mia voglia di avventura. Quindi cos’era quella sensazione di fastidio? Il caldo? La fatica? No. Cos’è che non mi piaceva sul serio? Non lo capivo. Poi ad un tratto le vigne, luminose nella foschia, mi sono sembrate d’argento, mentre noi soltanto di terra, carne e sudore. Quelle vigne, astratte e inanimate, senza un uomo, geometriche, eternamente produttive, mi hanno fatto capire che non mi piace camminare in luoghi “pacificati”, che aspirano a rimanere per sempre come sono, per quanto siano naturali. Camminare è un’attività povera e si trova più a suo agio con l’instabilità. Camminare è modificare faticosamente se stessi ad ogni passo, essere aperti al mondo, affamati di incontri, speranzosi di essere riconosciuti dagli altri e di riconoscersi negli occhi di qualcun altro. Un qualsiasi camminatore nel momento in cui si mette su strada si pone immediatemente nella condizione dell’ultimo degli uomini. E’ esposto, piccolo e pratico. Mentre i luoghi che vogliono mantenere a tutti i costi la loro stabilità, abitati da persone ricche, sono immobili, autarchici, teorici, chiusi nella loro indipendenza. Quando i posti selvaggiamente belli decidono di stabilizzare la loro bellezza diventano turistici ed è lì che muoiono ai miei occhi. Anche il Genius Loci fa le valigie e se ne va. Nell’ultimo mese ne abbiamo visti di posti così. Anzi, non solo erano belli, ma era bellissimi, stupendi, eppure non ci hanno emozionato. Io dunque preferisco camminare altrove, per me sono più belli i posti brutti, quelli sgangherati, pieni di lavori in corso, sotto ai cavalcavia, tra le case in costruzione, nei piccoli vigneti dove lavorano contadini, oppure in boschi selvaggi e inospitali, dove i rovi rivogliono il sentiero con tutte le loro forze e tu li ricacci indietro col tuo passo e col bastone. Preferisco camminare tra gente povera, con gli occhi disperati, perché quando passerai non avranno paura di essere fermati. Preferisco camminare tra gente pericolosa, è meglio rischiare di essere derubati di quel poco che si ha nello zaino che passare tra persone che non hanno più bisogno di niente, che non vogliono conoscerti, che hanno rimosso dalle loro coscienze di essere fatti di terra, carne e sudore come sei tu adesso davanti ai loro occhi. Il camminatore, come lo intendo io, è l’Uomo della Sabbia, che si sente a suo agio solo in posti a loro volta perturbanti.

Speriamo di non riuscire ad arrivare a Bruxelles. Come farò a dire alle istituzioni questa assurda verità, ovvero che più l’Europa diventa ricca e si stabilizza più diventa deludente agli occhi di un camminatore come me?

L’oro del Reno, nelle leggende nordiche, è stato maledetto dal nibelungo Alberich: chi se ne appropria per dominare il mondo conduce se stesso alla rovina. Non c’è più nessuno che sia in grado di spezzare questo destino, né uomini liberi alla stregua di Sigfrido, né utopie sociali, né oltreuomini, né l’opzione orientale del redento Wagner, né coraggiosi Hobbit che rigettino l’anello indietro, né i radical chic del quartiere Vauban, nemmeno io con questo scritto. L’Oro del Reno derubato dagli uomini millenni or sono si è sparso così tanto per il mondo da diventar lui stesso l’unico vero dominatore del mondo.

Forse solo il Reno, che nel suo antichissimo nome significa “scorrere”, può darmi l’illusione di una via da seguire.

Freiburg im Breisgau – Strasbourg

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