Ludwigshafen – Freiburg im Breisgau

Ovvero La conquista dell’inutile

Nel dicembre del 1974 Werner Herzog viene a sapere della grave malattia della sua amica Lotte Eisner, che si trova in un ospedale di Parigi. Mette l’occorrente nello zaino e parte a piedi da Monaco di Baviera, nella assurda certezza che finché fosse in cammino la sua amica sarebbe rimasta viva. Prende la strada più diretta, che passa per la Foresta Nera, dove siamo passati anche noi. Il nostro cammino e quello di Herzog s’incontrano dunque in questi sconfinati boschi e il mio pensiero mentre li attraversiamo va naturalmente a lui, al suo diario di viaggio che quattro anni più tardi diventerà un libro, alla poetica dei suoi film e documentari. Ad un tratto, se non ricordo male, si domanda perché stia facendo tutto questo. Internet mi viene in soccorso. Cerco herzog-sentieri nel ghiaccio-insensatezza e spunta questa frase: “Ho riflettuto se non andare a Parigi con qualche mezzo; che senso ha tutto questo. Ma essere arrivato fin qui a piedi e poi prendere un mezzo? Meglio l’insensatezza”. L’epoca del senso è tramontata e anche il cammino ne subisce le conseguenze. Io non posso più essere, come Herzog, il pellegrino di una Causa, non posso più andare avanti trascinato da qualche idea. L’Occidente, nel cuore del quale stiamo camminando, con i suoi pensieri distruttori e la sua deludente storia, ha picconato lentamente il grande edificio del significato di tutte le cose. Andare ormai è solo un inutile cucitura di passi, che disfarremo all’arrivo come Penelope faceva con la sua tela ogni notte, o come fanno i monaci orientali con i Mandala. Costruire immensi edifici di significato, ricchi di geometrie, assonanze, colori, immagini, parole… ben consapevoli che sia tutto vano, compresa la fatica e le sofferenze quotidiane. Così abbiamo preso questa finta calce, ovvero una meta riconosciuta da tutti, alcuni pratici obiettivi, ideali, un progetto da proporre e siamo partiti, ma l’altra faccia della medaglia è che tutto si dileguerà nel nulla insieme all’ultimo metro. Questa non è una confessione, né uno sconforto momentaneo, né il risultato a cui si può pervenire grazie alla lucidità che il cammino stesso fa avere. Era già tutto presente nella decisione di partire, era già tutto all’interno del primo facile ed entusiastico passo, perché camminare per noi è l’unico rituale possibile rimasto, fatto di fatica, lentezza e sacrificio. Mai come nel cammino si è esposti e fragili. Eppure si cammina lo stesso e tutto diventa inaspettatamente incantato come lo era una volta, il sipario si alza e l’universo dà spettacolo di sé. Anche la Foresta Nera, questo stupido, monotono e disilluso bosco, grande come una regione, sfruttato per la legna, attraversato da strade dritte e insipide, ha il suo momento magico. Succede quando prendi un sentiero laterale e t’inoltri dove nessuno passa. Noi andavamo dritti ma sembrava di scendere. Abbiamo incontrato un uomo silenzioso che caricava tronchi su di un trattore anni ’50. Già sentivamo una nebbia salire. Il sottobosco è diventato un tappeto verde di muschi, morbido e umido come una spugna, ripulito dagli aghi di pino dal lavoro incessante delle formiche, che li ammonticchiano in centinaia e centinaia di formicai, alti anche un metro e mezzo. Perché lo fanno? A che serve tutto quel costruire? Dove vogliono arrivare salendo nella densità della foresta? Andando avanti abbiamo incontrato una porta di legno appoggiata a due tronchi, come fossero gli stipiti di una casa. Una porta solitaria nel bosco, quando si cammina da ore sotto alla volta frusciante delle foglie, è un’immagine così inaspettata che la mente ne viene naturalmente rapita. Due bambini non avrebbero potuto emozionarsi di più. “Ecco… apriamola… cosa c’è dopo? Altro bosco? No… guarda meglio…”

E’ così che il senso dà sfoggio momentaneo di sé. La vanità dell’andare si riempie di significato e tutto si trasfigura, almeno per un istante.

Ludwigshafen – Freiburg im Breisgau

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