L’Urbex, opportunità educativa per i giovani?

di Paolo Delli Carri 

Per una definizione dell’argomento.

Cosa è l’urbex.

Come riporta Nicola Pannofino nell’articolo “Una natura (in)immaginabile. Il sacro selvaggio e l’esplorazione urbana delle rovine”, <<l’ Esplorazione urbana”, nota con l’abbreviazione urbex, è un’espressione coniata nel 1996 da Jeff Chapman, fondatore della rivista Infiltration: the zine about going places you’re not supposed to go, per riferirsi alla visita a luoghi abbandonati, dimenticati e nascosti al pubblico come ville, chiese, fabbriche, ospedali, alberghi, strutture militari, tunnel, sotterranei o interi paesi, le ghost towns. I luoghi dell’esplorazione urbana, pur nella loro eterogeneità, si connotano per quattro caratteristiche, sintetizzate da Paiva e Manaugh (2008) nell’acrostico TOADS: temporary, obsolete, abandoned, derelict spaces. Questa pratica, erede ideale della frequentazione ai luoghi in rovina a cui invitava Diderot già nel Settecento, è un’attività che sta conoscendo ultimamente una notevole popolarità>> (Pannofino, 2020).

Le prime “gesta” di esplorazione urbana vengono fatte risalire a due secoli fa, con la leggendaria figura di Philibert Aspairt che, nel 1793 si avventurò nelle catacombe di Parigi: dopo essersi perso nelle intricate gallerie sotterranee, l’uomo morì e venne ritrovato solo 11 anni dopo (Spennato, 2021).

Più precisamente, l’urbex è un hobby che prevede la ricerca e l’individuazione di infrastrutture abbandonate con l’obiettivo di visitarle e/o fotografarle (Garret, 2016b) e la sua forma moderna e il suo successo derivano dalla democratizzazione della fotografia e di Internet.

  • Discipline, autori, concetti e temi.

Nel lavoro di Robin Lesnè, “Urbex and Urban Space”: A Systematic Literature Review and Bibliometric Analysis, l’autore afferma che <<l’interesse per “urbex” da parte della comunità accademica è iniziato contemporaneamente alla pubblicazione di “Accedi a tutte le aree” (Ninjalicious, 2005), raggiungendo il suo apice tra il 2009 e il 2015 (quattordici articoli nel 2015), e calando nel 2016. Tuttavia, l’attenzione degli accademici è sempre stata modesta (novantadue articoli in quindici anni), cosa che attribuisce alla natura segreta e occulta della pratica. Le scienze sociali dominano lo studio dell’urbex, come primo campo a interessarsi e con l’80% degli articoli pubblicati. A metà degli anni 2010, altri tre campi (Cultural Studies, Information and Communication, ed Economics and Management) hanno applicato le loro lenti disciplinari, che a suo avviso riflettono una tendenza che ha iniziato a diminuire nel 2018.

Gli autori più prolifici di pubblicazioni (quarantotto in totale) sono: Garrett (sei); Lebreton (quattro); Bennett, Kindynis e Le Gallou (tre); e Arboleda, Dauphin e Mold (due). Le discipline scientifiche alle quali appartengono gli autori possono essere suddivise in tre gruppi: spaziali (prevalentemente geografiche); socio-antropologici; e culturali. In sostanza i quadri teorici impiegati dagli autori in questi articoli sono in gran parte geografici e filosofici, su uno sfondo sociologico>>.

Tra i 111 concetti individuati da Lesnè nei documenti, sette sono prevalenti: innanzitutto Patrimonio e turismo. Seguono i concetti di appropriazione spaziale, mercificazione e incarnazione, tattica e tempo libero. Questi concetti provengono da approcci geografici, economici e filosofici.

Tra i temi individuati nei principali contributi accademici ci sono:

  • la descrizione delle caratteristiche della comunità degli esploratori (urbexer);
  • l’autentica esperienza emotiva e sensoriale del (inteso in senso integrale: mentale, corporeo, emotivo) che l’urbex stimola;
  • le domande e le sfide provocate da questa pratica, tra cui la comprensione del nostro spazio urbano, i diritti di cittadinanza, la rivalutazione anticonsumista di luoghi che non hanno più prezzo ma conservano valore, la ridiscussione delle dinamiche di dominio e potere alla base della progettazione urbanistica.

Linee di ricerca.

Alcuni interrogativi riportati nello studio di Lesnè possono essere particolarmente utili per una progettazione educativa che possa utilizzare la pratica dell’urbex:

  • domande geografiche sullo spazio, la città e il patrimonio. Come vengono prodotti e distinti gli spazi pubblici o privati e gli spazi aperti o chiusi?
  • Come utilizzare l’urbex per comprendere i cambiamenti nel modo in cui gli spazi urbani vengono abitati, prodotti e appropriati?
  • Come l’esplorazione urbana influenza e apporta cambiamenti nel campo della cultura e del turismo?

Convergenze pedagogiche: modelli a supporto di un uso educativo dell’urbex.

Il primo modello pedagogico che mi sembra possa avere molti punti di contatto con l’utilizzo dell’urbex a fini educativi è l’ outdoor education.

Sotto questo termine sono comprese una grande varietà di esperienze pedagogiche caratterizzate da didattica attiva che si svolge in ambienti esterni alla scuola e che è impostata sulle caratteristiche del territorio e del contesto sociale e culturale in cui la scuola è collocata.

L’offerta formativa dell’Outdoor education include quindi una grande varietà di attività didattiche che vanno da esperienze di tipo percettivo-sensoriale (orto didattico, visite a fattorie, musei, parchi, ecc.) ad esperienze basate su attività sociomotorie ed esplorative tipiche dell’Adventure education (orienteering, trekking, vela, ecc.), a progetti scolastici che intrecciano l’apertura al mondo naturale con la tecnologia (coding, robotica, tinkering, ecc.), fino a percorsi educativi profondamente ispirati alla tradizione nordeuropea.

Originario dei paesi nordeuropei e lì diffuso, in questi ultimi anni l’Outdoor education sta vedendo una rapida diffusione anche in Italia. Nato come risposta a fenomeni di indoorization che, a partire dalla rivoluzione industriale in poi, sono stati l’espressione dei mutati rapporti tra uomo e ambiente, oggi l’Outdoor education è una proposta pedagogica che offre una risposta anche agli stili di vita imposti dalla recente pandemia. Da questo punto di vista occorre precisare che non è sufficiente uscire dall’aula per poter parlare di Outdoor education; in un’esperienza pedagogica di questo tipo non possono infatti mancare:

  • l’interdisciplinarità;
  • l’attivazione di relazioni interpersonali;
  • l’attivazione di relazioni ecosistemiche.

Inoltre, con il temine Outdoor education non ci riferiamo soltanto ad esperienze che si svolgono in contesti naturali (giardino della scuola, parchi, fattorie, ecc.) ma anche a percorsi didattici realizzati in ambienti urbani (musei, piazze, parchi cittadini, ecc.), dove è garantito un rapporto diretto e concreto con il mondo reale e il coinvolgimento nella sua interezza del soggetto in formazione (dimensioni cognitiva, fisica, affettiva e relazionale)[1].

La dimensione corporea dell’esplorazione urbana è centrale perché implica abilità fisiche e performative e sovrastimola le capacità sensoriali, prima di tutto visive ma anche olfattive (odori di ambienti tipicamente saturi, invasi dalla natura, contaminati) e uditive. Gli esploratori infatti devono essere sempre in allerta per ascoltare eventuali pericoli e presenze più o meno gradite e attraversano sovente luoghi silenziosi che lasciano spazio alla concentrazione e alla contemplazione.

Come evidenziato da Pannofino, inoltre, gli esploratori urbani esaltano la componente “adrenalica” della loro esperienza, ricalcando il modello narrativo eroico e di conquista (Mott e Roberts, 2014) che, con diverse declinazioni, è tipicamente rappresentato nelle imprese sportive estreme o nei film d’azione e horror. Camminare tra le rovine comporta un’improvvisazione corporea, obbliga l’esploratore ad adattarsi alle contingenze e alle asperità del terreno, scostandosi dalla linearità che regola i percorsi tipici del contesto cittadino, con un movimento che sollecita una immersione sensoriale e cinestetica simile a quella del contatto con l’ambiente selvaggio (Edensor, 2008: 127-128).

Sono proprio i confini tra “natura” e  “antropico” ad essere sfidati e continuamente spostati. Come dimostra uno degli hashtag più usati, #naturetakesover, assistiamo alla rivincita della natura sui progetti e sulla fatica dell’uomo.

Occorre precisare due limiti evidenti della pratica dell’esplorazione urbana di cui non si può non tenere conto:

  • l’intrinseco rischio presente nei luoghi oggetto dell’Urbex, spesso inagibili, pericolanti, insalubri e abitati da forme di vita pericolose o da persone ostili;
  • l’eventualità di incorrere in reati quali l’invasione di proprietà private o pubbliche, custodite o sorvegliate e il mancato rispetto della privacy. Tuttavia l’attività di esplorazione urbana non deve necessariamente sfociare nell’ingresso all’interno delle strutture ma limitarsi ad una loro osservazione e documentazione (scritta, fotografica, geolocalizzata) e sempre più guide turistiche stanno considerando come organizzare tour in sicurezza tra i siti abbandonati di interesse storico e culturale. Si rimanda a questo sito per un approfondimento [2].

Al riguardo, mi sembra molto interessante e fertile di stimoli e suggestioni il progetto educativo “Strade Maestre” [3] ideato da Marcello Paolocci e  Marco Saverio Loperfido, <<incentrato sullo svolgimento di un anno scolastico itinerante rivolto a quindici studenti che, accompagnati da cinque guide ambientali escursionistiche, che svolgono anche il ruolo di insegnanti, segua a piedi un percorso di oltre mille chilometri attraverso la penisola, alternando giornate di cammino a periodi residenziali>>. Come descritto nel progetto pedagogico, <<l’apprendimento formale si intreccia quotidianamente con le pratiche educative informali. Il percorso scolastico di Strade Maestre è disegnato per essere il più “geograficamente localizzato” possibile. Propone esperienze di insegnamento e apprendimento vive, reali, concrete, unendo la teoria e la pratica, lo studio e il confronto. Parleremo di geologia sui pendii dell’Etna e ai Campi Flegrei. Di chimica e ambiente lungo un sentiero sull’Appennino o in uno stabilimento industriale. Di storia nei posti dove la storia è accaduta. Visiteremo la casa di Dante a Firenze. Varcheremo fisicamente il Rubicone come Cesare o le Alpi come Annibale. Rifletteremo sul cielo stellato, la sera prima di dormire, fuori dalla tenda. Osserveremo le piante per capire come funziona la fotosintesi, lungo il cammino e in laboratorio, con microscopio>>.

In questa direzione, a rendere l’Italia un territorio propizio anche all’esplorazione urbana è l’ampiezza del patrimonio architettonico e paesaggistico in stato di abbandono.

  • L’apprendimento esperienziale affonda le sue radici lontane nell’attivismo, “prospettiva pedagogica ispirata ai valori della sperimentazione e dell’attività pratica (la prassi precede la teoria), al lavoro di gruppo e all’avvicinamento dei contenuti didattici ai contesti di vita, in contrapposizione con la tradizionale prospettiva magistrocentrica, rigida, intellettualistica, individualistica e classista. Si sviluppa a partire dall’Ottocento e trova applicazione concreta in quelle che verranno definite scuole nuove. Il pensiero di John Dewey sistematizza e sintetizza quello che in molti paesi occidentali viene proposto in varie esperienze”. (Bonaiuti, Calvani, Ranieri, 2019). L’apprendimento esperienziale è stato successivamente approfondito, sviluppato e diffuso dal teorico David Kolb. L’educatore e psicologo statunitense è famoso per la sua teoria dell’apprendimento, la quale sostiene che l’esperienza viene trasformata in conoscenza. Il modello di apprendimento esperienziale sviluppato da Kolb segue un processo a spirale, composto da fasi in cui si pianifica una sperimentazione attiva, si fa esperienza concreta, si riflette sull’esperienza fatta e si costruiscono concetti che poi danno vita ad altri progetti di esperienza significativa.

La pratica dell’urbex ha una forte impronta esperienziale perché prende le mosse dall’uscire, dal camminare, dall’interagire con i soggetti e gli elementi materiali della città, dal compiere un’osservazione sempre partecipante che può successivamente attivare una riflessione e una ricerca sulle risorse del proprio ambiente. Da questo momento è naturale accostarsi a concetti che provengono dall’urbanistica, dalla storia, dalle discipline economiche e sociali secondo un’impostazione ciclico-ermeneutica. Come riconosce Lesnè, <<lo studio dell’urbex richiede un approccio multidisciplinare e persino interdisciplinare. Proprio come gli esploratori oltrepassano certi confini, così i ricercatori devono attraversare i confini disciplinari. È quindi impossibile studiare urbex da soli, senza confronto con altre attività>>.

  • L’ultimo riferimento pedagogico a cui voglio agganciare il tema dell’urbex come strumento educativo è quello dell’educazione alla cittadinanza attiva, intesa, secondo l’insegnamento di Dewey, come educazione alla democrazia che forma cittadini capaci di comprendere attivamente il mondo, il loro contesto naturale (la città) e di definire insieme il bene comune. Infatti, afferma Pannofino, accanto al bisogno di evasione, cui risponde l’ethos dell’esplorazione, si abbina il complementare desiderio di conoscere e apprendere la storia della città, di recuperarne la memoria, di abitare in modo più consapevole un particolare territorio (Nakonecznyj, 2019). Come sintetizza Martina Scalini, <<l’esplorazione urbana è un’attività seducente da un punto di vista estetico ma, allo stesso tempo, significa, per chi lo pratica seriamente, anche impegno sociale in grado di fornire uno sguardo diverso sulla storia del nostro territorio; per esempio ci permette di toccare con mano episodi chiave dell’evoluzione comunitaria, come la crescita industriale e il suo conseguente declino o l’espansione del tessuto urbano nell’era del benessere economico>>[4].

Interessante a riguardo il progetto il progetto “URBEX: Urban Exploration as Educational Tool”, sovvenzionato dall’Unione Europea all’interno del programma Erasmus+, che è stato realizzato nel 2018 e nel 2019 e ha coinvolto 5 paesi europei per 25 operatori giovanili/educatori e 50 giovani. Per raggiungere gli obiettivi del progetto, i partner hanno iniziato creando un kit di strumenti educativi comprendente un elenco di buone pratiche sull’esplorazione urbana e una selezione di strumenti ed esercizi sviluppati dai partner [5]. La coordinatrice del progetto Paola Pizzo afferma: <<È un modo innovativo per coinvolgere i giovani a pensare davvero a ciò che li circonda e alle loro relazioni con le comunità e i quartieri. Camminando per strada con uno smartphone in mano, è facile ignorare il mondo esterno. Ma tante cose stanno accadendo intorno a noi! Diventare più consapevoli di vivere in una città solleva tutti i tipi di domande. Quanto sappiamo davvero del luogo in cui viviamo? Chi altro vive lì, e perché? Dove inizia e finisce il nostro quartiere? Perché le aree della nostra città sembrano così diverse l’una dall’altra? Per rispondere a queste domande, questo progetto ha riunito giovani e operatori giovanili di cinque città europee per un anno per progettare, testare e sviluppare modi nuovi e divertenti per esplorare gli spazi urbani. Abbiamo iniziato provando diversi tipi di attività per trovare i modi migliori per coinvolgere i giovani e abbiamo creato un kit di strumenti dai nostri preferiti. L’esercizio Map my World chiede ai giovani di pensare ai loro luoghi speciali nel mondo ed esplorare le loro relazioni con loro in dettaglio. City Visionary è un gioco da tavolo che coinvolge il gioco di ruolo che incoraggia i giovani a pensare allo sviluppo urbano e al processo decisionale co-creando un ambiente immaginario. Secret Mission riguarda la ricerca di indizi e la raccolta di informazioni in diverse aree, prima di tornare a riferire sulle nostre scoperte. Questo gioco era perfetto per aprire discussioni approfondite sulle caratteristiche nascoste delle città e sui loro significati segreti! Ed è anche un ottimo modo di team building>>.

Una proposta operativa

Nell’avanzare una proposta operativa che possa utilizzare alcuni aspetti della pratica dell’urbex secondo i modelli pedagogici analizzati, ho incrociato le mie competenze professionali di operatore sociale, educatore professionale e docente di sostegno e la mia collaborazione con il collettivo che compie esplorazioni urbane (e non solo come vedremo) a cominciare dalla provincia di Foggia e oltre. Il lavoro di documentazione fotografica è visibile su Instagram[6] e Facebook[7].

Propongo due distinti percorsi esplorativi/educativi:

  • Vocazioni economiche e urbane: il fu granaio d’Italia.
  • Terre e radici: dalle masserie contadine alle masserie fortificate.

Il primo percorso vuole cogliere l’impatto immediato di siti industriali abbandonati alle porte di Foggia: in particolare l’ex silos granario di via Manfredonia la cui imponente costruzione di chiaro stampo fascista è visibile percorrendo il cavalcavia che collega le vecchie porte della città (i cosiddetti Tre Archi) alla statale 16.

Nelle adiacenze è possibile scorgere una vecchia e caratteristica ciminiera di una fabbrica di mattoni e l’ex stabilimento Casillo, sempre granario. Su Youtube [8] è possibile visionare un video di grande interesse storico prodotto dall’Istituto Luce con le immagini originali dell’inaugurazione dell’allora più grande silos granario d’Europa nel 1937 da parte del principe  Umberto di Savoia. La particolare posizione e le caratteristiche fisiche di questo sito consentono l’aggancio e la riflessione intorno a diverse tematiche:

  • Il confine tra spazi urbani visibili e invisibili, agio e disagio, tra ordine e degrado;
  • Le condizioni di vita di chi trova riparo in quegli spazi abbandonati;
  • La vocazione agricola del proprio territorio e il mancato sfruttamento di tale opportunità;
  • Gli elementi architettonici del periodo storico individuato;
  • I linguaggi urbani del writing;
  • La consapevolezza civica di spazi altri, terre di nessuno, e la gestione delle reazioni emotive (paura, insicurezza, disillusione);
  • La conoscenza delle risorse aziendali locali sopravvissute (es.: mulini Tamma, Sacco, ecc.).

Il secondo percorso ha convinto gli urbexer di UrbexFoggia a coniare un nuovo termine, “Countrex” per precisare un tipo di esplorazione nel contesto “campagna” che ha meno a che fare con ambientazioni come industrie, fabbriche, scuole, ospedali abbandonati e invece si indirizza soprattutto a masserie, case coloniche, ville, case cantoniere, ecc.

La Capitanata è puntellata da tantissime antiche e caratteristiche masserie, molte di queste abbandonate e in stato di degrado. La masseria è una fattoria fortificata molto diffusa in Puglia e Sicilia. La masseria è l’espressione di un’organizzazione geo-economica legata al latifondo, la grande proprietà terriera che alimentava le rendite delle classi aristocratiche e della borghesia. Si tratta quindi di grandi aziende agricole caratteristiche del nostro territorio, veri punti di riferimento per i contadini delle aree circostanti.

La mia proposta è un’esplorazione di diverse tipologie di masserie tra cui la più interessante è sicuramente la Masseria Fortificata del Tavoliere che con le sue torrette (garitte con feritoie) è posta a protezione dell’intera azienda agricola da eventuali incursioni di briganti e malintenzionati. Il complesso è formato da più costruzioni. In genere, oltre all’abitazione padronale vi sono i volumi che ospitavano la mangiatoia, il fienile, il forno ma anche depositi ed abitazioni di lavoratori saltuari, a volte anche una chiesa.

I siti che suggerisco sono:

  • Masseria fortificata tra Foggia e San Severo: costruzione caratteristica, elegante, con quattro torrette angolari e affreschi interni. Vi è annesso il cosiddetto “lamione” ambiente sotterraneo di pregevole architettura che serviva per conservare il fieno.
  • Masseria Casone in agro di San Severo, composta di vari ambienti, compresa una chiesa del 1800.

Gli spunti di riflessione da cui partire in questo secondo percorso possono essere:

  • Il rapporto con la natura;
  • Il cammino e il senso di avventura;
  • L’organizzazione latifondista della nostra storia sociale ed economica;
  • Il brigantaggio;
  • L’architettura rurale.

Conclusioni

Dal punto di vista professionale, il mio lavoro, prima di operatore sociale nell’ambito dell’animazione sociale e poi di docente di sostegno, mi ha sempre interpellato per trovare forme di coinvolgimento giovanile esperienziale e di apprendimento significativo. In particolare l’esperienza con i minori a rischio e nell’educativa di strada mi ha convinto a leggere e sfruttare i contesti di vita naturali (la città, la piazza) dei ragazzi per trovare ponti di comunicazione più autentici.

Dal punto di vista personale, la passione dell’esplorazione urbana è coincisa inoltre con il complesso periodo della pandemia da Covid 19 che ha ristretto i movimenti di tutti e, per certi versi, ha costretto a concentrare l’attenzione sulla realtà più prossima (personale e geografica).

In secondo luogo, motivi personali mi hanno poi impedito di viaggiare e l’urbex si è rivelato una forma alternativa di turismo tra l’altro economico (a costo zero o quasi) e adrenalinico.

Infine l’attrattiva per luoghi sconosciuti, oscuri, magnetici, non fosse altro per i segni della memoria che conservano e per le trasformazioni naturali a cui sono sottoposti, è venuta da una fase personale congiunturale di introspezione emotiva più versata sulla dimensione irrazionale. Credo che questa sia una dimensione da esplorare anche sulla scorta delle chiavi interpretative di quelle psicologie che mettono al centro la potenza dei simboli e degli archetipi (Jung) nonché dell’anima dei luoghi (Hillman, 2004).

Di questa direzione di ricerca del sé, guidata da una sensibilità non razionale, ne parlano Colamedici e Gancitano (2021) che recuperano l’arte urbana di meravigliarsi detta “deriva” di Guy Debord (1956) e ripresa da Paolo Maria Clemente (2020) il quale spiega che la deriva <<consiste nel vagare per la città ignorando i richiami consueti come insegne, vetrine, manifesti, monumenti, per lasciarsi guidare dai segni, cioè dalle cose insolite che accadono accidentalmente. Di segno in segno si arriva all’apparizione, ovvero ad uno spettacolo che cattura il nostro interesse>>.

In un secondo tempo, approfondendo le ricerche e gli studi sull’urbex, mi sono reso conto che certe mie intuizioni e vissuti personali erano corroborati da concetti più consolidati come la paesologia del poeta Franco Arminio [9],  l’interpretazione dell’urbex come forma di anti turismo (Robinson, 2015), l’edgework (Lyng, 1990)[10].

Questi aspetti si prestano bene ad esercitare attrazione per la fascia giovanile contribuendo a quella spinta ad uscire da vecchi e nuovi isolamenti sociali [11] ma vanno attentamente indirizzati [12] e problematizzati, come ho cercato di fare con il presente studio.

L’attività di esplorazione urbana di per sé può aumentare la consapevolezza della realtà in cui si vive mettendoci di fronte a ciò che non conoscevamo o che non volevamo vedere. Può attivare occasioni di spiegazione dei processi di cambiamento sociale e urbanistico nella direzione della coscientizzazione di freiriana memoria.

Può addirittura sviluppare pensieri e azioni di presa in carico di luoghi abbandonati da un livello più spontaneo come la pulizia e la cura di parchi e strade da parte di gruppi volontari di cittadini fino a progettualità in collaborazione con le istituzioni locali, come è avvenuto per esempio in Puglia [13].

Infine, un cenno occorre farlo all’esperienza di gruppo in cui spesso consiste l’urbex. Infatti, oltre che più opportuno per la motivazione sicurezza, esplorare in gruppo può diventare un’avventura emozionante e sfidante che fa conoscere con più velocità e profondità l’altro. La consapevolezza di star sperimentando qualcosa di memorabile e rischioso stimola a esercitare fiducia nelle capacità e nel contributo che può dare il compagno di esplorazione. Spesso mi è capitato di osservare una naturale formazione di “ruoli” e prerogative: “lo studioso” che aggiunge conoscenza e approfondimento ai siti esplorati, “l’atletico” che consente di trovare vie inedite di ingresso e osservazione, “il fotografo” che sa documentare, il “mediatore” che sa entrare in contatto e dialogare con gli abitanti del posto, il “guidatore”, il “geolocalizzatore” e così via. Questo sistema:

  • rafforza lo spirito di squadra;
  • consente di mettere in moto un tipo di apprendimento cooperativo;
  • alimenta un metodo di problem solving collettivo nei confronti di ostacoli e limiti che sono il pane quotidiano dell’esplorazione urbana.

Bibliografia

Bonaiuti, G. Calvani, M. Ranieri, Fondamenti di didattica. Teoria e prassi dei dispositivi formativi, Carocci, Roma 2009.

M. Clemente, La deriva. Istruzioni per perdersi, Tlon, Roma 2020.

Colamedici, M. Gancitano, Prendila con filosofia. Manuale di fioritura personale, Harper Collins, Milano 2021.

Debord, Théorie de la dérive, in Les Lèvres nues, n. 9, Bruxelles 1956.

Edensor , The Ghosts of Industrial Ruins: Ordering and Disordering Memory in Excessive Space, Environment and Planning D: Society and Space, 23: 829-849, 2005.

Garrett B.L., Assaying History: Creating Temporal Junctions through Urban Exploration, Environment and Planning D: Society and Space 29: 1048-1067, 2011.

Hillman, L’ anima dei luoghi. Conversazione con Carlo Truppi, Rizzoli, Milano 2004.

Lesné. “Urbex and Urban Space”: A Systematic Literature Review and Bibliometric Analysis. International Journal of the Sociology of Leisure, pp.425-443, 2022.

Lyng S, Edgework: a social psychological analysis of voluntary risk taking, The American Journal of Sociology, 1990.

Mott, S. M. Roberts (2014), Not Everyone Has (the) Balls: Urban Exploration and the Persistence of Masculinist Geography, Antipode, 46, 1: 229-245, 2014.

Nakonecznyj , Reimagining Urbanism and Heritage through Urban Exploration, in M. Joannette and J. Mace (eds), Les communautés patrimoniales, 189-214, Québec, Presses de l’Université du Québec 2019.

Paiva, G. Manaugh, Night Visions: The Art of Urban Exploration, Chronicle Books, San Francisco 2008.

Pannofino, Una natura (in)immaginabile. Il sacro selvaggio e l’esplorazione urbana delle rovine, Im@go – A Journal of the Social Imaginary, 15(IX), 79-100, 2020.

Robinson, Conceptualizing Urban Exploration as beyond Tourism and as

Anti-Tourism, Advances in Hospitality and Tourism Research 3, 2: 141-164, 2015.

Spennato, Esplorazione urbana: Il fenomeno “Urbex” come luogo di ricerca, AND Rivista Di Architetture, Città E Architetti, 40(2), 2021. Tratto da https://and-architettura.it/index.php/and/article/view/387

[1] https://innovazione.indire.it/avanguardieeducative/outdoor-education

[2] http://www.salvisjuribus.it/e-reato-fare-urbex-urban-exploration-analisi-dei-rapporti-con-lart-633-c-p/

[3] www.strademaestre.org

[4] https://www.illibraio.it/news/dautore/urbex-luoghi-abbandonati-1392032/

[5] https://participationpool.eu/project/urban-exploration-as-an-educational-tool-urbex/

[6] https://www.instagram.com/urbexfoggia/

[7] https://www.facebook.com/urbexfoggia

[8] https://www.youtube.com/shorts/UrU72QLn7wI

[9] https://casadellapaesologia.org/2016/09/09/che-cose-la-paesologia/ <<La paesologia nasce quando i paesi stanno finendo. In questo finire apparente si aprono fessure che danno emozione. La paesologia ha capito che i luoghi sono importanti. Bisogna guardare quello che ci facciamo coi luoghi, bisogna saperci fare coi luoghi. Non può essere solo una faccenda di urbanisti o di sociologi>>.

[10] Per indicare il luogo dove si negoziano le norme e si contestano i confini, il rischio delle esperienze pericolose che alcuni gruppi intenzionalmente cercano con il piacere che ne consegue, Stephen Lyng ricorre al termine edgework, «esperimenti estremi». Questa combinazione di intensa eccitazione emotiva e attenzione focalizzata porta gli edgeworker a sperimentare alterazioni nella percezione del tempo e dello spazio, sentimenti di «iperrealtà» con un senso dell’esperienza come profondamente autentica e viva (da https://ilmanifesto.it/vita-eroica-degli-urbexer )

[11] https://psicologinews.it/il-disagio-della-generazione-post-covid-tra-suicidio-e-hikikomori/

[12] Per trarre suggerimenti e indicazioni preventive e preparatorie all’esplorazione urbana rimando a questo sito https://www.alessiodileo.it/urbex-esplorazione-urbana/

[13] https://luoghicomuni.regione.puglia.it/

L’Urbex, opportunità educativa per i giovani?

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2 thoughts on “L’Urbex, opportunità educativa per i giovani?”

  1. La mia esperienza Urbex e la seguente: ho una casa di campagna in cui non vivo che sto cercando di restaurare, con tanto di cartelli di divieto di accesso e di divieto di ingresso, nello scorso anno ho avuto più di 10 intrusioni di cosiddetti esploratori Urbex, identificati tramite telecamere di sicurezza, che hanno ignorato tutti i cartelli. Gli ultimi mi hanno sfondato le porte e sono entrati in casa. Questo lo chiamate educativo?

    1. Condividiamo quanto da lei scritto, non è assolutamente educativo e comportamenti del genere vanno condannati. Allo stesso tempo non tutte le persone che praticano l’Urbex si comportano in questo modo. Speriamo che lei riesca a risolvere presto e che queste persone incivili la smettano.

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