Strasbourg – Thionville

ovvero Cousines

E’ il 7 settembre, ma dal colore plumbeo del cielo e dal vento freddo che tira sembra di essere a novembre inoltrato. Scende quella pioggia leggerissima che vortica invisibile nell’aria e che in mezz’ora ti bagna come fossi sotto un’acquazzone. Da sotto i cappucci gocciolanti del k-way scorgiamo una moderna linea del TGV che si perde dentro il buio di una galleria. Rimaniamo qualche istante a contemplare quei binari, non perché vorremmo finalmente essere più veloci e liberi di andare, ma perché sono paralleli, tenuti insieme dalle traversine e finiscono chissà dove, un’immagine simbolo che ci colpisce a fondo. Siamo lì perché le mappe dicono che poco più avanti dovrebbe esserci un sentiero che scende e corre sulla sinistra, ma non lo trovo. Anzi c’è una rete che sbarra il passo. Il paesaggio cambia e intrappola il camminatore. Dico a Marina: “Abbiamo sbagliato strada”. Questa frase, in quella situazione, è una frase che richiama la parte più remota del nostro Essere. E’ così che il cammino diventa metafora. “Dobbiamo andare avanti”, “Siamo ad un bivio”, “Bisogna tornare sui propri passi”… Il cammino salta le intermediazioni e ti riporta a monte di tutte le esperienze possibili, dandoti in futuro la chiave conoscitiva per interpretarle. Il cammino è chiaro tanto più è difficile. Il cammino è maestro quanto più è severo.

In questo la Francia che abbiamo attraversato è simile ai luoghi dai quali veniamo: gentile, bella, agevole, ma anche inaspettatamente cinica. Attraversare regioni come l’Alsazia, la Lorena e la Mosella è un susseguirsi di paesaggi morbidi, cordiali, alternati però da momenti di incredibile austerità. C’è un equilibro, proprio come dai luoghi dai quali siamo partiti, tra civiltà e abbandono. I paesi, a 3 km l’uno dall’altro, sono spesso deserti. Solo qualche bambino gioca per le strade insieme alla svogliata sorella, qualche macchina passa veloce e se ne va come se la vita fosse altrove. I campanili battono le ore, le case sono in vendita, gli intonaci cadono esausti dall’insistenza della tramontana. Ma poi ecco una cittadella, coi lavoratori nei caffè che parlano questa lingua così incredibile, che ingentilirebbe perfino un orco, ecco il contadino che vende la propria verdura su di un carro al centro della piazza e una famiglia di algerini che passeggia in fila sul marciapiedi diretta al Doner Kebab. Quello stesso contadino offre un girasole a Marina che gli aveva fatto una foto, lasciandoci di stucco come se ci avesse donato tutto l’oro del mondo. Si vive per strada. Questa apertura al mondo permette a chi cammina di sentirsi a proprio agio. Ma non è tutto, perché incontriamo una grande tenuta principesca, confiscata dai rivoluzionari nel 1792. Per la prima volta materializzo la Rivoluzione Francese su di un luogo, la immagino che si svolge proprio qui dove sono adesso. Se a casa immaginavo Cesare, gli Etruschi e il Papa e li vedevo agire sullo sfondo delle rovine, delle valli e delle chiese, qui vedo muoversi tra le campagne un’altra storia, ma che mi appartiene lo stesso. Mi rendo conto di quanta Francia ci sia nella mia educazione. Riconosco Montagne, Voltaire e Rousseau nell’atteggiamento della gente; Renoir e Manet nei volti e nel paesaggio; Le Corbusier nell’architettura delle periferie. Mi rendo conto di quanto io riesca ad afferrare subito l’atmosfera che aleggia qui grazie ai film che ho visto, di quanto io mi trovi inaspettatamente bene a chiacchierare con queste persone, di quanti pregiudizi avessi. Proprio qui nei luoghi della Linea Maginot mi ritrovo a dover abbattere la inutile linea difensiva che avevo stupidamente eretto contro i francesi negli anni passati e ritornare sui miei passi. Siamo cugini, familiari e differenti. C’è amicizia, ma anche distanza. Linee parallele che corrono da sempre sulla stressa strada senza incontrarsi mai, rispettandosi. “Siete italiani?” “Oui” e si illumina il loro viso. Nulla è più prezioso di questo per chi cammina, altro che sentieri ben tracciati. Mi dispiace per chi la pensa in maniera differente ma credo che non ci sia altro modo di sentirsi europei che questo: trovare se stessi altrove. E non c’è modo di costruire un’identità condivisa se non incontrandosi per strada.

Strasbourg – Thionville

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