La preparazione della tappa di oggi è stata una delle più sofferte, perché avremmo voluto fermarci decisamente prima (dopo 40-50 km al massimo), ma la mancanza totale di luoghi dove poter dormire (ad eccezione di Rocchetta S. Antonio che però dista molto dal tracciato), ci ha costretti a tirare fino a Melfi.
La statale 303 detta “del Formicoso” si rivela subito un bellissimo e tranquillissimo percorso, completamente privo di traffico, con salite non eccessive e discese piacevoli e il cui andare tortuoso rende ancor più divertente la discesa a rotta di collo giù per le sue curve; per questo motivo, la stragrande maggioranza dei tagli indicati da Rumiz (tutti sterrati che scollinano con salite e poi discese piuttosto ripide) li evitiamo preferendo proseguire sull’asfalto liscio e panoramico. L’unico taglio che decidiamo di fare è in corrispondenza dell’indicazione per la “Pesata Pubblica” e quello subito successivo, entrambi asfaltati. Il paese di Bisaccia sembra disabitato, non un negozio aperto!
Proseguiamo la strada addentrandoci sempre più nei numerosi parchi eolici della zona. Certamente non si può dire che l’aberrante “fuori scala” delle pale sia bello a vedersi, ma il cielo azzurro e le colline coltivate a grano tutte verdi, uniformi e compatte sono un paesaggio bellissimo e le pale bianche e silenziose non mi disturbano più di tanto; abbiamo attraversato luoghi ben più offensivi per lo sguardo e anche per l’anima…
Ad un certo punto il segnale del GPS ci avvisa che ci stiamo allontanando dal tracciato: siamo infatti arrivati al bivio con Rocchetta S. Antonio, ma in realtà avevamo deciso un taglio di diversi chilometri, da prendere più a monte; inoltre la 303 risulta non praticabile per frane e smottamenti proprio a partire dal bivio… Così torniamo in dietro. Il taglio è costituito da una strada sterrata ma ampia, che ci porterebbe direttamente a Ponte S. Venere facendoci risparmiare circa 6 km; dalla descrizione che leggiamo nel libro di Rumiz e dall’altimetria che vediamo sui nostri strumenti ci sembra conveniente, si tratta di percorrere le strade che conducono alle singole pale eoliche, così lo prendiamo. Inizialmente risulta abbastanza fattibile, per quanto alcuni tratti siano molto carichi di brecciolino e le nostre ruote da strada perdano un po’ di aderenza, ma la sorpresa deve ancora arrivare!
Dalla cima della collina vediamo a valle e in lontananza il punto di arrivo, ma ad un tratto la strada diventa terreno naturale e cominciamo a ballare sulle impronte dei trattori lasciate nel fango secco; tutto in ripida discesa. La strada si inoltra sempre più nei campi di grano, fino a diventare solo uno stretto solco tra le spighe. Per fortuna in questa stagione il grano è poco più che erba alta, così proseguiamo abbastanza spediti giù per il fianco della collina, cercando da un lato di rimanere nel solco per non rovinare il raccolto e, dall’altro, di evitare in tutti i modi di finire con la ruota nelle crepe che la siccità crea nel terreno e che corrono longitudinali al solco. Mano mano che avanziamo, però, il grano si fa più alto con spighe ancora verdi che ci superano il ginocchio; e poi ancora più alto, a lambire le selle! Ma la cosa più spiacevole è la gran quantità di cardi che crescono “a sorpresa” tra le spighe…
E così ci ritroviamo a scendere giù per la ripida collina lungo un quasi impercettibile solco, nel bel mezzo di continui campi di grano che sembrano non finire mai e che presentano diversissimi stadi di maturazione delle spighe. È stato un percorso divertentissimo, ma anche faticoso e, soprattutto, non può certamente essere considerato ufficialmente una strada.Arriviamo a valle con le gambe graffiate e piene di bava di lumache; superiamo un piccolo ruscello e raggiungiamo Ponte Santa Venere, che si intravede nella vegetazione; da lì raggiungiamo la romanticissima stazione dismessa di Rocchetta Scalo, in un tripudio di finocchi in fiore(non visibile, ma vicina, c’è anche la stazione funzionante e molto meno romantica).
Riprendiamo la statale 303, che ancora risulta chiusa al traffico per frane e smottamenti (ma certamente meglio dei campi di grano!), che si rivela subito piacevolissima e silenziosa tra le colline, così arriviamo fino a Melfi. L’abitato che ci accoglie è di una bruttezza che fa rimpiangere le pale eoliche e il castello neppure si riesce a vedere; ci inerpichiamo su per la città vecchia in un dedalo di stradine e sensi unici traboccanti di automobili, che saturano ogni angolino libero e si ostacolano reciprocamente; ci manca solo che se le parcheggino sul terrazzino…
Arriviamo alla cattedrale, con un bellissimo campanile medioevale.
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