Thionville – Arlon

ovvero Noi lussemburghesi

Il tempo è in assoluto il protagonista negativo della storia degli ultimi secoli. Caduto ogni scopo verso cui organizzare vita e società, non rimane altro che affrettarsi senza senso sulla ruota dell’inutile ed eterno “fare”. “Mi affretto dunque sono” come dicono i filosofi, come facciamo tutti noi nelle nostre vite quotidiane. Ribellandoci con disperazione a tutto questo ci siamo presi tanto tempo: 6 mesi. Ma cosa sono in realtà? Quasi nulla, eppure un tempo bastevole per farci assaporare una considerazione che, come si suol dire, vale il biglietto. Non è il tempo il problema, ma la perdita del senso dello spazio. Il tempo, sempre in leggero ritardo, segue lo spazio a distanza. Mi alzo, preparo lo zaino, apro la finestra, controllo il cielo, esco dalla porta e dal paese, entro nel bosco, incontro un rumore, faccio una foto allo scoiattolo, perdo la strada e torno sui miei passi; scelgo l’altra via, mi accorgo di un fungo, ne parlo con Marina, ma Bricco tira ancora verso lo scoiattolo; lo trattengo, andiamo via, un piccolo guado, le scarpe bagnate, esco dal bosco, un mulino sulla collina, la strada che vi arriva, controllo la mappa. Quant’è passato? Solo un’ora e mezza. Ma quanta vita? E’ questo che succede quando cammini: il tempo si solidifica in passi e i passi sono come mattoni su cui il tempo, a sua volta, si costruisce. La lentezza del passo addensa velocemente la realtà. Quando mi volto indietro a ricordare la giornata contemplo l’orizzonte da cui sono partito.

Questo è quello che accade se facciamo riferimento alla piccola scala degli attimi, ma zoomando all’indietro e prendendo in considerazione la larga scala dei mesi e delle stagioni, soggiornano altre sorprese. I primi venti giorni di settembre, per esempio, abbiamo avuto sempre pioggia e vento. Non c’è stato passaggio tra l’estate e l’inverno: direttamente pioggia ogni santo giorno e vento freddo con temperature di 8 gradi. Sapevamo che doveva finire, ma ora mi chiedo: se avessimo avuto a disposizione solo due settimane quale ricordo avremmo avuto del nostro cammino? Ne sarebbe rimasto per sempre influenzato (così come mi sono influenzato io con tutto quel freddo). Avendo invece un tempo più lungo a disposizione quel periodo è stato vissuto come una faticosa salita, dopo della quale vi è la discesa e dunque il “riposo”. Non già una salita di due o tre ore, ma un periodo molto lungo, un vero e proprio “valico temporale”, che prelude cioè ad un’apertura verso la serenità e la spensieratezza.

Il sole che bagna questo foglio in questo istante e che illumina di speranza tutto il mio essere, di cui sono ebbro grazie al ritorno del piacevole e caldo autunno, non è un sole che scalda e basta, ma si porta appresso tutte le sensazioni accumulate nelle ultime settimane. E’ un sole che allontana il freddo provato, che scioglie il freddo dalla giacca. Ci mette più tempo a farti sudare perché prima deve asciugarti dell’umidità che hai preso. E ci metti più tempo tu a stufarti di lui perché sai che potrebbe ritornare a piovere ed è bene accumularlo per le giornate future. Vivendo per strada per mesi smetti di essere uno specchio che riflette la luce e basta e diventi un boiler, che accumula energia quando è possibile, che la restituisce quando è necessario.

Le foglie che ingialliscono (onore a te oh latifoglia!) mi commuovono se le guardo dalla finestra: il tempo passa e se ne va. Ma se cammino per tutta la verde estate nord europea e poi le vedo cadere ad una ad una davanti ai miei passi mi danno solo il senso di un sereno trascorrere delle cose. Ho visto il bosco di primavera, che nasce e si apre, l’ho visto d’estate, che si fa verde intenso, e lo vedo d’autunno, che si riposa esausto.

Ancora: quanto ci ha messo la Francia a diventare se stessa? La risposta non è nell’esatto calcolo del tempo, perché il tempo è invisibile, ma nello spazio. Un tempio romano che diventa chiesa, la chiesa che viene ampliata, la chiesa che viene defraudata dai rivoluzionari, una costruzione gotica in rovina con i corvi e le querce a sconsacrarla. Oppure: una valle attraversata da un torrente, un mulino, un sentiero, rue de mulin, un cartello informativo. O anche: un orizzonte boscoso, lo stesso orizzonte coltivato, una pala eolica in cima alla collina coltivata. Quando vai a piedi sei Sherlock Holmes, usi la lente d’ingrandimento. Sei filologo del paesaggio, ti soffermi su ogni frase, la analizzi, la contestualizzi, la scomponi e ne capisci l’etimologia. Il tempo si coagula in territorio e tu lo leggi come un libro pop-up.

Cosa rende il Lussemburgo Lussemburgo? Niente, né il dialetto elevato a rango di lingua, né il paesaggio, né la gente. Non c’è omogeneità che regga le fila del tutto, è un territorio da sempre facilmente attraversabile, fluido, di passaggio, politicamente giovane. Cosa fanno dunque i lussemburghesi di oggi, in cerca di se stessi? Si affrettano a costruire, a fare, a cercare la propria identità nel poco spazio che hanno. Il Lussemburgo è la nostra modernità allo specchio.E’ tutto un “lavori in corso”: infrastrutture, palazzi, vetro, ricchezza, cemento. Ma così come esiste un tempo che gira a vuoto su se stesso esiste uno spazio senza persone che l’attraversano. Bruciare spazio in poco tempo non vi farà guadagnare la storia di cui avete bisogno. Prendete invece esempio dai vostri fiumi: quanto ci ha messo l’Alzette a scavare le masse di arenaria dove oggi è costruita la vostra splendida capitale? Quanto ci hanno messo i carpentieri medievali a costruire le meravigliose torri, le incredibili casematte e le ormai smantellate fortificazioni di Pfaffenthal? Non si può arrivare alla fine del cammino senza fare un passo alla volta. La bici è veloce, la macchina rapida, il treno di più. Il piccolo Lussemburgo, in aereo, non lo distingui nemmeno.

 

Thionville – Arlon

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