Questo progetto nasce dalla scommessa che tutta l’Italia sia percorribile a piedi, senza macchina, senza nemmeno prendere un treno o un bus. L’idea è che ognuno di noi può condividere i percorsi a piedi che conosce. Una mappatura del nostro territorio, tale da farci esclamare: “Ammappa l’Italia!“.
Viterbo Soriano nel Cimino
- Regione: Lazio
- Durata: 5 ore e 30 minuti
- Difficoltà: escursionistico
- Natura: 75%
- Percorribilità: piedi
- scarica il gpx del percorso
- Versione stampabile
Ormai, per me, non sei più un monte, ma un grembo. Il mio sguardo insicuro si è voltato migliaia di volte a cercare la tua immagine, come una bussola che per orientarsi oscilla di qua e di là. E tu stavi, anche se sparivi sotto nubi, colline e forre, corteggiato in una danza di avvicinamento. Infine, quando oggi sono salito a te, non ho avuto la sensazione di andare, ma di tornare. Il velo delle nebbie, le ombre, il verde…
Altro da sapere
Dove mangiare e dormire lungo la via:
Dal sito: “I Giardini di Ararat, azienda agrituristica a Bagnaia, basa la propria filosofia sul recupero della “locanda” come luogo simbolo del territorio e della sua tradizione.”
Per arrivare ai Giardini di Ararat basta andare dritti dopo il Parco dei Cimini (vedi gpx o descrizione) e svoltare a destra alla prima strada bianca che inizia a costeggiare la strada asfaltata. poi girare alla prima a sinistra…
Dove dormire a Soriano:
Soriano nel Cimino (VT) cell. 328/0463399 tel. 0761/745203
Il boschettoIl Boschetto B&B – Soriano nel Cimino (Viterbo) – Via Giovanni XXIII, 26
Tel. 0761.745549 – 388.3504490 (Maria Grazia) – 338.3435145 (Cesare) – 347.5456988 (Spartaco) – info@ilboschetto.biz
La bacheca del percorso
Amore in scatola
Giorgio e Francesca erano in crisi, era un fatto. La classica crisi, uguale a quella di altre centinaia di migliaia di coppie. E come tante altre coppie, navigando in acque cattive erano naufragati nello studio di una consulente di coppia con una punta di scetticismo e ben poco da perdere.
Era per questo che quel giovedì mattina si trovarono nella faggeta. Avevano anche dovuto prendere le ferie, la terapeuta si era raccomandata: fate qualcosa di diverso dalla vostra solita routine, tornate nel luogo del vostro primo incontro, fermatevi lì, insieme, ascoltatevi, guardatevi. Erano mesi che non si guardavano, chissà quanti anni che non si ascoltavano. E star fermi poi… chi può permettersi di star fermo di questi tempi? Questa terapeuta non aveva guadagnato la loro simpatia assegnandogli un compito del genere. Camminavano sullo stesso sentiero, Francesca un po’ più avanti, Giorgio la seguiva, com’era sempre stato. Era circa un’ora che trascinavano i piedi tra le foglie accartocciate, senza il coraggio di proferire parola, quando Giorgio inciampò e cadde in avanti, sporcandosi tutti i jeans di terra.
“Stupida radice” imprecò
“non è mai colpa tua, come sempre…” rispose Francesca, impietosa.
“C’è qualcosa di duro qui per terra, non è colpa mia veramente, guarda!”.
Le mani infangate raccolsero dalla terra una piccola scatola di legno intarsiato, sembrava essere stata la foresta stessa a metterla là. La tirò su, la pulì dalla terra e la aprì con garbo: dentro era ben custodita una lettera, la carta era giallognola e leggermente rovinata. Assieme alla lettera una chiave, altrettanto vecchia e malconcia. Francesca adesso era accanto a lui mentre spiegava le pagine e lessero in silenzio le parole sbiadite.
18 settembre 1957
Caro Mario, amore mio,
E’ tutto finito, ormai sei andato via e non tornerai più da me. Ieri ti ho accompagnato alla littorina per l’ultima volta. Mi hai detto che siamo troppo lontani e che il nostro amore è impossibile e che poi siamo troppo giovani. Ma io ti amo per davvero e non posso stare senza di te. Eppure tu ridevi ed eri allegro mentre io piangevo, anche sulla corriera per tornare a casa e tutti mi guardavano. Io ti voglio ancora, non posso credere che per te non valgo niente. Mi hai illusa e io sono stata scema, proprio come mi chiami tu, anche se mi piace quando me lo dici.
Adesso io non so che fare, voglio solo stare con te ma non posso. Sono venuta nel bosco a lasciare questa lettera vicino alle pietre, come ha fatto mia mamma vent’anni fa per Egidio, che la guerra ha portato via. Anche lui era venuto a Soriano con la ferrovia e con il treno se ne andato per sempre, proprio come te. Papà questa storia non la sa, ma la mamma mi ha raccontato tutto. Anche io le ho raccontato di te, ma mi ha detto che devo dimenticarti e che sei un poco di buono. Io non ci riesco a non pensarti. Lo so che ho solo 15 anni, ma io ti amo e non voglio dimenticarti. Ti prego, anche tu non dimenticarmi.
La tua scema.
Silvia
Giorgio a differenza di Mario non se n’era andato, eppure era come se non ci fosse più da tanti anni. E Francesca… da quanto tempo era che non era più “scema”? Vennero invasi da una nostalgia travolgente e per un attimo i loro sguardi si agganciarono, non erano sguardi felici, però si compresero subito, si videro come si vedevano un tempo. Fu solo un attimo, poi lo sguardo si Giorgio venne catturato da qualcosa di insolito. Tutti gli alberi attorno a loro erano privi della corteccia alla base e marchiati da segni profondi e diagonali.
“Guarda, devono essere i cinghiali a lasciare queste tracce. Chissà come scelgono gli alberi”.
Si accorsero poi che gli alberi marchiati segnavano un percorso nel bosco piuttosto evidente e decisero di seguirlo. Camminarono per un’ora buona sulle tracce dei cinghiali, fino a giungere ad una piccola casina nascosta tra i rami.
“La chiave!!” disse Francesca con un entusiasmo che non le apparteneva più da tempo.
Aprirono ed entrarono, lo spazio era angusto: un divano bucato poggiato su assi sconnesse, in fondo a sinistra un vecchio camino, un ricamato di ragnatele calava come una tenda sull’unica finestrella appannata. Completavano l’arredamento una sedia e una panca. Si sentiva ancora odore di legna arsa nonostante la capanna sembrasse abbandonata da anni e anni. Francesca si poggiò sul divano, l’umidità aveva impregnato la stoffa floreale anni ‘50 e quell’odore bagnato le pungeva il naso. Guardò a terra e tra le assi sconnesse intravide qualcosa: un’altra scatola, questa volta di latta. Sembrava una vecchia scatola di biscotti, ovale e tutta ammaccata. La aprì mentre Giorgio le si sedeva accanto. La calligrafia questa volta era diversa, marcata, più dozzinale e dalle frasi brevi. Francesca girò subito il foglio in cerca di una firma: era di Mario.
19 gennaio 1957
Ciao scema. Non ci credevi mica che ti scrivevo una lettera. Te la lascio qua, nel nostro nascondiglio segreto. Così la prossima volta che ci incontriamo la trovi. Tanto arrivi sempre prima tu per non farti pizzicare da tuo padre. Non ci posso credere che sono già passati tre mesi e io ti amo sempre di più. Oggi eri così bella mentre ti vergognavi e ti coprivi con i capelli per non farti vedere da me. E non volevi farmi medicare il tuo ginocchio sbucciato. Io invece l’ho pulito e baciato perché tutto di te è bellissimo. Non vedo l’ora che sia venerdì e potrò abbracciarti di nuovo, qui davanti a questo fuoco. Mi manchi sempre quando non ci sei.
Mario
Sul fondo della scatola trovarono anche tre foto: nella prima Mario che fa delle boccacce, nella seconda Silvia con un temperino in mano e nell’ultima un’incisione su un albero, con le loro iniziali circondate dal classico cuore trafitto da una freccia.
“Riconosco questa radura, era all’inizio della nostra camminata!” Francesca aveva un entusiasmo contagioso, sembrava tornata bambina. “Vieni!” Prese Giorgio per mano e lo trascinò fuori dalla capanna, lui la seguì ridendo, sorpreso. Fecero la strada di ritorno quasi correndo, sempre mano nella mano. Arrivarono alla radura ma l’albero era crollato, al suo posto un tronco mozzato e delle radici che puntavano verso il cielo. Si chiesero se fosse tutto finito così, se come quell’albero anche la storia di Silvia e Mario era crollata sotto il peso del battere incessante del tempo, e se anche alla loro storia sarebbe toccato lo stesso inevitabile destino. Si avvicinarono al tronco, la corteccia era completamente coperta di muschio e silenziosamente si misero a raschiarlo via, nessuno dei due voleva arrendersi all’idea che sotto non ci fosse più niente. Il loro impellente desiderio di conclusione si concretizzò in un’ultima lettera, questa volta custodita in un alambicco di vetro blu, incastonato in un incavo dell’albero nascosto dal muschio. La aprirono come se il destino delle loro storie fosse legato attraverso i decenni. Si sedettero a terra e lessero assieme.
9 gennaio 1980
Mario, lascio qui questa lettera, nel bosco, dove mia madre e mia nonna prima di me hanno riposto le loro speranze e i loro segreti. Spero che questo albero la custodisca per te, sapendo tutto ciò che questo luogo ha significato. Silvia è venuta in questo bosco una volta al mese da quando tu te ne sei andato, ogni mese per vent’anni, fino all’estate scorsa. Diceva che questo era il vostro posto speciale e che se mai vi sareste rincontrati, sarebbe successo proprio qui, in questa faggeta. Mi ha raccontato tutto di te, di quanto fosse grande il vostro amore e di come sei andato via senza più voltarti. Ma qualcosa ti sei lasciato dietro, senza volerlo: me. Sono crescita sentendo i racconti sulla tua bellezza, sulla tua simpatia e sul radioso futuro che ti attendeva, quando sei salito su quella littorina. Mamma invece è rimasta qui, a Soriano, a crescere una figlia, a lavorare instancabilmente e a sognare il giorno che vi sareste rincontrati, camminando nella faggeta. Mamma si è spenta quest’estate, e il suo desiderio è rimasto inesaudito, il desiderio scemo di una scema innamorata. E ora io sono qui, a scrivere un’altra lettera per omaggiare questo bosco, per far sì che le sue speranze possano sopravviverle; attraverso di me. Forse sono solo una scema come mia madre, ancora a immaginare che tu possa tornare e io possa finalmente conoscerti. Se mai troverai questa lettera saprai dove trovarmi, noi non ce ne siamo mai andate.
Tua figlia, Chiara
Lessero la lettera tutto d’un fiato, in silenzio, uno accanto all’altra. Arrivati alla fine si guardarono negli occhi, luccicanti di lacrime e si sorrisero. Non c’era nulla di allegro in quella lettera, è vero, ma c’era speranza e il racconto di una storia che non doveva per forza ritenersi conclusa. Giorgio e Francesca non avevano bisogno di altro: di possibilità, di orizzonti alternativi, di ipotesi diverse. Tornarono nel cuore della faggeta, questa volta camminando con calma, fino alla capanna che aveva accolto l’amore clandestino di Silvia e Mario. Per quella notte il tempo poté fermarsi dopo tanto che correvano. Davanti ad un camino acceso, su un divano logoro, Giorgio e Francesca fecero l’amore tenendosi stretti. Fu come farlo per la prima volta ma allo stesso tempo anche l’ultima, senza aspettative né rimpianti. Non sappiamo se dopo quella notte continuarono a stare insieme, ci siamo chiesti assieme a loro se le lettere non fossero altro che una faticosa caccia al tesoro architettata dalla terapeuta.
L’unica cosa che sappiamo è che questa faggeta ha dato vita ad una storia e con essa ad un numero infinito di possibili altri racconti che giacciono qui, in attesa di essere raccolti e condivisi.
Racconto scritto dal gruppo di Digital Story Trekking della Asl Rm2 prendendo spunto dagli elementi incontrati lungo il cammino.
Commenta con Wordpress